Questa seconda componente acustica, in base alla quale ciò che noi udiamo ci risulta più o meno forte o più o meno debole, dipende dall’ampiezza delle vibrazioni, cioè dal maggiore o minore spostamento compiuto dalle oscillazioni della sorgente acustica.
Ecco come si rappresenta lo stesso suono (cioè un suono sempre con la stessa altezza) ora debole, ora forte:
Nel secondo caso le creste e gli avvallamenti dell’onda sono più accentuati, cioè più ampi rispetto al primo.
Due sono in particolare le misure con cui viene calcolata l’intensità: una, che si chiama watt, dal nome dell’inventore scozzese James Watt (1736-1819), indica la vera e propria energia posseduta dalle oscillazioni della sorgente acustica;
L’altro invece, detta decibel (abbreviato dB), dal nome del fisiologo scozzese Alexander Graham Bell (1847-1922) calcola l’intensità in base alla sensazione che essa provocava in noi.
Il massimo livello di intensità che il nostro orecchio può percepire, prima di provare dolore e subire danni irreparabili, è di 120 dB, un livello che indica un’intensità un milione di volte più forte del minimo percepibile.
Sembra un livello difficilmente raggiungibile, eppure oggi nella nostra vita esistono molti effetti acustici che si avvicinano pericolosamente a questo limiti.
Questa prima componente dell’acustica, in base alla quale ciò che noi udiamo di risulta più o meno grave e profondo oppure più o meno acuto o stridulo, dipende dal numero di oscillazioni compiute dalla sorgente ascustica in una porzione di tempo (in genere si assume, come unità di tempo, il minuto secondo): quanto più numerose, e quindi più fitte, sono queste oscillazioni, tanto più alto, cioè tanto più acuto e stridulo, ci risulta l’effetto acustico.
Ora, mentre il rumore, a causa dell’irregolarità delle sue onde ha un’altezza difficilmente misurabile con precisione, il suono, grazie all’uniformità delle sue vibrazioni, può essere distinto in varie frequenze. In altre parole, il suono ha un moto oscillatorio periodico, cioè dotato dello stesso numero di vibrazioni nella medesima unità di tempo.
Questo numero costante di vibrazioni si chiama periodo o anche Hertz (abbreviato Hz) dal nome del fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894) che studio questo fenomeno.
Ecco pertanto, qui a fianco, come si possono graficamente rappresentare due suoni diversi in base alla loro altezza.
Nel suono rappresentato in alto il numero delle vibrazioni comprese in un secondo è maggiore che nel suono sottostante, pertanto il suono superiore è più acuto del suono inferiore.
Nei confronti dell’altezza il nostro orecchio possiede limiti abbastanza precisi: in particolare per essere da noi avvertito un effetto acustico deve possere almeno 16 periodi, ossia vibrare per 16 volte in un secondo. Un numero inferiore di vibrazioni provoca un effetto per noi inudibile e si entra nel campo degli infrasuoni.
D’altra parte un effetto acustico non deve superare i 16.000/20.000 periodi: al di là di questo limite infatti il nostro orecchio non udrà di nuovo nulla e il suono prodotto apparterrà al campo degli ultrasuoni.
Questi limiti valgono solo per l’uomo: molti animali infatti hanno possibilità ben più ampie, sopratutto per quanto riguarda il campo delle alte frequenze; ecco qualche esempio:
Due sono le principali categorie in cui gli effetti acustici possono venire distinti in base al tipo di onde che posseggono: se queste onde sono uguali fra di loro e costanti si ha il suono; se invece non sono uguali fra di loro né costanti si ha il rumore.
Se rappresentiamo le onde acustiche con una linea curva (sinusoide) potremo descrivere graficamente i due effetti come nelle figura sottostante:
In musica si fa prevalentemente uso di suoni, cioè di vibrazioni acustiche regolari; ma non per questo i rumori sono del tutti esclusi.
Infatti, nella Musica concreta, non mancano strumenti che producono rumori e composizioni che addirittura fanno essenzialmente uso di rumori e non di suoni.
L’acustica è la scienza che tratta tutti gli effetti sonori che incontriamo nella nostra vita: studia cioè come questi effetti si producono, come si propagano e come giungono al nostro orecchio. Per rendersi conto di tutto ciò, occorre studiare il fenomeno degli effetti sonori in quattro fasi:
Prima Fase – La sorgente acustica
Ogni effetto acustico è causato dalle vibrazioni di un corpo elastico che, sottoposto ad una deformazione, tende a riprendere la sua forma primitiva: tenete presente che tutti i corpi solidi sono elastici, anche il marmo e l’acciaio, ed anche tutti i fluidi come l’acqua e l’aria. In altre parole quando noi percuotiamo un oggetto qualunque, causiamo in esso una deformazione, magari impercettibile, ma pur sempre presente. L’oggetto percosso si mette così a vibrare per un certo periodo di tempo e trasmette queste vibrazioni all’aria circostante.
Seconda Fase – Il mezzo propagante
Per giungere sino a noi ogni effetto acustico ha bisogno di un mezzo propagante che trasmetta le vibrazioni della sorgente sonora: il principale mezzo propagante è l’aria. Nel vuoto infatti, come nello spazio interstellare o sulla Luna, non si può avere alcun effetto sonoro, perché non vi sono elementi, come l’aria, che possano venire sollecitati.
Il primo che studiò questo fenomeno fu Robert Boyle (1627-1691), un nobiluomo inglese appassionato di scienze che, con i suoi esperimenti, riusci a dimostrare come in assenza d’aria qualunque effetto acustico non può avere luogo. Egli progettò e costruì una pompa per l’aspirazione dell’aria e la collegò ad una campana di vetro a chiusura ermetica, nella quale aveva posto un orologio dal robusto ticchettio: poté così notare che, dopo aver estratto l’aria, e creato il vuoto nella campana, il ticchettio non era più percepibile.
L’aria che circonda la sorgente acustica viene dunque smossa dalle vibrazioni di questa: si produce così una serie di onde, che si diffondono intorno alla sorgente acustica allargandosi in cerchi concentrici e creando zone alterne di compressione e rarefazione. La velocità con cui si spostano queste onde dipende dalla natura del mezzo propagante che utilizziamo, cioè dalla sua densità molecolare; quanto più è denso il mezzo propagante, tanto più veloce sarà lo spostamento di questo onde.
Terza Fase – Il mezzo ricevente – L’orecchio
Grazie dunque al mezzo propagante l’effetto acustico può giungere al nostro orecchio e può quindi essere effettivamente percepito. Il nostro orecchio infatti è un prodigioso e complicato meccanismo che ha il compito di trasformare le onde del mezzo propagante in stimoli che vanno a sollecitare il nostro cervello.
Innanzitutto le onde mettono in vibrazione la sottile membrana del timpano; ma le sue vibrazioni sono molto piccole e per essere percepite devono essere amplificate, cioè ingrandite. A ciò provvedono tre ossicini, martello, incudine, e staffa, che triplicano l’energia delle onde emesse dal timpano e che trasmettono le vibrazioni all’Organo di Corti (dal nome di colui che per primo lo studiò), un complicatissimo e stupefacente meccanismo composto da circa 7500 elementi racchiusi nello spazio di circa 2 centimentri quadrati. Tale organo ha il compito di trasformare le onde acustiche in impulsi elettrici che, attraverso il nervo acustico, raggiungono finalmente il cervello.
Quarta fase – Il cervello
Il cervello, che per tanti versi può essere paragonato ad un prodigioso e ancora in gran parte misterioso computer, traduce gli stimoli acustici in vere e proprie sensazione sonore.
Questo processo, assai complicato, viene studiato dalla psico-acustica, una particolare scienza in base alla quale sappiamo che i vari effetti acustici non vengono percerpiti da ciascuno di noi allo stesso modo: in altre parole ogni essere umano ha una sua sensibilità acustica, così come ha una propria sensibilità visiva; quando una persona dice che un dato oggetto è di colore “verde chiaro”, non può essere completamente sicura che un’altra persona “veda” quell’oggetto dello stesso colore; e questo vale per gli effetti acustici.